Niente completini, trucco o tacco 12.

Dieci anni fa, quella conferenza stampa non era solo un evento per annunciare una novità. Era qualcosa di più. Era un momento che raccontava una storia, e la raccontava nel modo giusto. C’era l’infradito, c’era l’oceano, e c’era una squadra di donne pronte a sfidare il mare nella Volvo Ocean Race. Le infradito, così fuori posto in un contesto formale, non erano solo un accessorio ma un manifesto di libertà, di rottura dagli schemi. Eravamo lì ad Alicante per raccontare una storia diversa, una di quelle che meritano attenzione, non solo perché era nuova, ma perché aveva anima.

Ecco, quella conferenza ha lasciato il segno non per caso. Perché ogni volta che si crea qualcosa per i media, si cerca di fare esattamente questo: trovare l’angolazione giusta, quel dettaglio che fa la differenza e che rende un evento non solo efficace, ma memorabile. Non basta solo la notizia, non basta che sia una novità. Serve quel tocco in più, quella capacità di rendere il tutto coinvolgente, emozionante. Serve far vivere un’esperienza, far sentire chi è presente parte di qualcosa di più grande.

Ma la verità è che organizzare eventi del genere non è facile. I successi dipendono da tanti fattori, alcuni dei quali sono fuori dal nostro controllo. C’è la novità, certo, quella è fondamentale, ma c’è anche il contesto, la capacità di dare forma a un’esperienza che si ricordi. Eppure, la cosa più complicata è trovare l’equilibrio giusto: fare in modo che tutto sia studiato, senza sembrare troppo costruito. È come cucire un abito su misura, ma con l’arte di far sembrare che quel vestito sia stato scelto a caso.

Negli eventi mediatici, c’è sempre un’attenzione particolare per creare qualcosa che sia “di più”. Più interessante, più attrattivo, più gustoso direi. Tutto deve essere più “figo”, più brillante. Ma quanto è davvero importante? E quanto, alla fine, conta la sostanza rispetto alla forma? Ci sono volte in cui quel di più è essenziale, fa la differenza, trasforma una semplice conferenza stampa in un evento che si ricorda, come quella di dieci anni fa. Ma ci sono altre volte in cui si rischia di esagerare, di concentrarsi troppo sull’effetto e meno sul contenuto.

È un equilibrio complesso, e la verità è che non sempre è il mio approccio preferito. La spettacolarizzazione di una notizia, per quanto attraente, non è sempre quello che amo. Ho sempre preferito il lavoro su misura, il contatto diretto, quel rapporto personale che si costruisce lontano dai riflettori. È lì che, secondo me, nascono le vere connessioni, quelle che durano, quelle che lasciano davvero il segno. Quando ci si prende il tempo di capire chi hai di fronte, di costruire una relazione autentica, fatta di ascolto e dialogo. Un approccio che richiede pazienza, ma che porta risultati duraturi.

Eppure, non posso negarlo: eventi come quella conferenza stampa in infradito, con la loro energia, la loro capacità di sorprendere e coinvolgere, hanno un fascino irresistibile.

Non tutte le conferenze stampa possono essere così, ovviamente. Ma quelle che ci riescono, quelle che sanno essere non solo informative ma anche esperienziali, hanno un valore inestimabile. Sono quelle che, quando ci pensi, ti fanno dire: “Sì, quella volta abbiamo fatto qualcosa di speciale.” Sono quelle che ti ricordano che, alla fine, non importa quanto tu preferisca i rapporti uno a uno, ci sono momenti in cui creare qualcosa di memorabile per un pubblico più ampio può avere un impatto enorme.

Ecco perché, anche se non è sempre la mia strada preferita, continuo a mettercela tutta quando si tratta di creare eventi per i media. Non sempre è facile, non sempre tutto fila liscio, ma quando ci si riesce, quando si crea quel momento unico, ne vale la pena. Perché è lì che si vede la vera differenza: nell’abilità di creare qualcosa che non si limiti a comunicare, ma che resti. Magari con un paio di infradito, a dimostrazione che a volte la semplicità è il più grande dei lussi.

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