Si ricomincia.
Figlio1 l’ha fatto lontano, con un oceano in mezzo. Figlio2 ci prova da questa parte e niente fusi orari assassini. Il brivido però è identico quando i figli partono per l’Erasmus.
L’aereo decolla uguale, la chat comune pure, con le odiose foto che si autodistruggono, la mia faccia fa lo stesso sorriso tirato che vuol dire vai e torna con storie nuove, un abbraccio-bis a Orio aspettando che faccia il giro nella serpentina.
Sono felice per loro. Proprio felice. Per quello che troveranno a lezione e fuori, per le case con cucine improbabili, per gli amici che spunteranno come funghi, per quelle abitudini che una mattina si presentano senza bussare e diventano futuro. È il prezzo più bello, vederli mettere un piede dopo l’altro e accorgersi che stanno camminando benissimo.
Qui, nel frattempo, cambia il metronomo. La spesa perde volume e acquista dignità. Le lavatrici smettono di fare turni da fabbrica. Il frigo chiude meno spesso in modalità deserto. E il mio tempo si dilata a elastico, un po’ troppo lungo quando la casa tace, veloce quando ritrovo spazi che non vedevo da mesi. Non è nostalgia, è manutenzione del vuoto. Ogni tanto serve.
A proposito di distanze. Malcolm Forbes dice che bisogna lasciarli andare se vuoi che restino con te. Non è un paradosso, è un manuale di montaggio senza illustrazioni. L’amore che tiene non è un lucchetto, è un moschettone fatto bene. Li lasci salire la loro parete, resti agganciata con discrezione, pronta se serve, invisibile quando non serve. Funziona.
Io scelgo questo. Voglio essere il loro campo base. Non la tenda che li segue ovunque, piuttosto il luogo che li aspetta. La porta che non fa domande inutili, la mensola per appoggiare il nuovo , la pentola grande per quando rientrano e raccontano a ondate. Campo base vuol dire che possono allontanarsi quanto vogliono e sanno comunque dove tornare a respirare.
