Figlia3 (15 anni) mi ha chiesto di guardare un film insieme. Non è raro che lo faccia, ma questa volta la sua proposta aveva un’intensità diversa. Era il giorno prima del 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Lei, a 15 anni, aveva scelto di mostrarmi Mia. Non era un caso, l’ho capito solo dopo. Lei sapeva già tutto, mentre io pensavo fosse una semplice richiesta di compagnia.
Mia racconta una storia difficile, di una ragazza della sua stessa età intrappolata in una relazione con un uomo manipolatore e violento. Una trama che si svela lentamente, come accade spesso nella realtà, dove certi abusi iniziano a insinuarsi silenziosamente. È un film cupo, nei colori e nei silenzi, quasi pesante da sostenere, ma necessario proprio per la sua autenticità. E il titolo, così semplice, racchiude tutto: un nome, ma anche l’idea malata di possesso.
Guardarlo da sola non avrebbe avuto lo stesso impatto. Rebecca mi ha fatto notare dettagli che io, forse per abitudine o per un altro tipo di sensibilità, non avrei colto. Mi ha insegnato qualcosa che non mi aspettavo: a osservare attraverso i suoi occhi. E soprattutto mi ha ricordato quanto sia radicato in lei il valore del rispetto, quello vero. Rispetto per sé stessi, per gli altri, per le scelte. Rispetto che, se manca, lascia spazio a un vuoto pericoloso, fatto di manipolazione e abuso.
Quello che mi ha colpito di più è quanto loro, i ragazzi, sappiano già tutto. Sanno riconoscere certe dinamiche meglio di noi, leggono nei comportamenti quello che noi spesso fatichiamo a vedere. Ma, allo stesso tempo, hanno un bisogno profondo di essere ascoltati. Di sapere che c’è qualcuno pronto a dare valore a ciò che pensano e sentono, senza giudicare, senza minimizzare.
Mia, vissuto insieme, ha avuto una forza diversa. Non era solo un film. Era un dialogo. Lei, con la sua capacità di leggere tra le righe, mi ha insegnato che il rispetto non è solo una lezione da impartire, ma qualcosa che va vissuto, protetto e alimentato ogni giorno. E mi ha fatto capire che sono i figli, con la loro visione fresca e diretta, a riportarci alle basi, quando a volte noi genitori ci perdiamo nei dettagli.
Questo film è triste, certo. È duro, senza sconti. Ma è un film che consiglio di vedere in famiglia, perché condiviso può trasformarsi in un momento di riflessione potente. Può aprire un dialogo sincero tra madri, padri e figli. Non tanto per trovare risposte, ma per farsi domande.
Mia è un film che ti lascia addosso un peso, ma anche una consapevolezza: che il rispetto, quello autentico, non si insegna solo con le parole. Si vive, si dimostra, si condivide. Guardarlo insieme è stato un viaggio dentro una storia dura e, allo stesso tempo, dentro il nostro legame. Rebecca mi ha ricordato che il dialogo non è fatto solo di parole, ma di sguardi, silenzi e momenti condivisi.
Forse non serve altro, se non continuare a essere presenti. E imparare a vedere, attraverso i loro occhi, ciò che a volte non siamo pronti ad affrontare con i nostri.